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Archivio Ramelli

Libri su Sergio Ramelli

Uno degli aspetti più sconcertanti e preoccupanti del "caso Ramelli" è il sostanziale disinteresse di larga parte del mondo della cultura: se ci pensiamo questo disinteresse è aberrante quasi quanto il delitto: in una scuola italiana, 25 anni fa, è stata decretata la persecuzione e la condanna a morte di un ragazzo in nome delle sue idee (le idee del suo partito, cioè presidenzialismo, elezione diritta del sindaco - che allora erano considerate "di destra", etichettate come "fasciste" e che oggi sono patrimonio comune e prezioso di un vasto schieramento che comprende l'intero arco parlamentare): in America avrebbero già fatto una decina di film, in Francia si sarebbero scritti decine di saggi per capire come questo sia avvenuto. Invece, a distanza di oltre 25 anni dall'assassinio e dopo più di 11 anni dalla chiusura giudiziaria del caso si possono, a nostra conoscenza, indicare solo tre volumi; di questi tre volumi, solo uno, quello di Guido Giraudo, è scritto con criteri di indagine seria. Gli altri due volumi sono comunque interessanti a chi voglia approfondire la questione poiché mostrano de visu il clima in cui maturò il delitto.
Non ci risulta l'esistenza di tesi di laurea o di dottorato inedite sull'argomento; se qualcuno ne è informato è pregato di contattarci al nostro indirizzo direzione@cdrc.it

Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura
di Guido Giraudo,
Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini,
Francesco Grillo e Paolo Severgnini

Un'analisi stimolante e altamente documentata della vicenda. Il principale autore del testo, Guido Giraudo, e stato conoscente di Sergio Ramelli e ha vissuto i momenti terribili di quegli anni; tuttavia il volume riesce ad essere un atto di accusa onesto ed equilibrato. Strutturato in 5 capitoli il libro fa definitivamente chiarezza sulla vicenda, inquadrandola storicamente e mostrando l'ampia quantità di corresponsabilità che vanno ben oltre gli autori del crimine. L'ultimo capitolo offre un'agghiacciante e documentata panoramica delle persone che in quegli anni sono stati uccisi in agguati da parte di squadracce armate di spranghe di ferro, chiavi inglesi, taniche di benzina o armi da fuoco e mostra come il caso di Sergio Ramelli non sia, purtroppo, isolato ma si inserì piuttosto in una strategia cosciente e mirata, in cui ad associazioni dotate di struttura militare veniva consentito impunemente di seminare il terrore. Il volume contiene - accanto alla toccante testimonianza della Madre di Sergio Ramelli - ampi stralci di materiale processuale e numerosi brani di articoli di giornali di tutte le parti politiche. Prove alla mano Giraudo e i suoi ragazzi raccontano la vicenda di Sergio, dai mesi della persecuzione a scuola, al "processo popolare" cui fu sottoposto per non essere di sinistra - processo al quale, come è noto presero parte anche alcuni professori (!!!) -, all'agguato, alla morte, al divieto di fargli il funerale (!!!), alla persecuzione verso la famiglia Ramelli con lettere e telefonate anonime che continuò anche dopo la morte del figlio. Di notevole interesse è la descrizione del clima politico di quei giorni e della inesistenza dello stato: il Sindaco di Milano non si fa vedere, le istituzioni invece di imporre un funerale di stato, come si fa quando si vuole condannare un delitto, per mobilitare gli italiani contro la violenza proibiscono il funerale. Giraudo argomenta, giustamente, che i semi del terrorismo siano stati gettati in quegli anni. Tra i volumi citati in questa pagina è l'unico di cui ci sentiamo di raccomandare la lettura. La nuova edizione, edita da Lorien contiene anche il testo del nostro spettacolo "Chi ha paura dell'Uomo Nero?" e può essere acquistata

Per memoria di Sergio Ramelli
di Giorgio Melitton

La storia di Sergio Ramelli raccontata da un suo professore. Il volume, non privo di interesse documentario - in quanto consente di constatare quali gravi responsabilità nella persecuzione e nella morte di Ramelli siano da attribuire alla classe docente dell'Istituto Molinari di Milano - risente tuttavia di una impostazione generalmente auto giustificatoria che alla lunga ne rende la lettura faticosa per non dire seccante. La volontà dell'autore di non fare i nomi dei propri colleghi lo costringe peraltro all'uso di lunghe perifrasi che rendono il volume decisamente arduo e poco chiaro. Ad esempio, Melitton citando i commenti di tre insegnanti subito dopo l'aggressione che costò la vita a Sergio Ramelli scrive: "La terza [professoressa], la prof del corso M, quella che aveva abbracciato la causa di AO, e aveva incitato pubblicamente i ragazzi all'intolleranza, ed era anche stata, per un anno, l'insegnate di Lettere di Sergio, si giustificò..." Di fronte a frasi del genere ci si chiede: aveva un nome questa professoressa? E se ce l'aveva perchè non usarlo per indicarla?

Le Vere Ragioni, 1968/1976
atti di un convegno organizzato da Democrazia Proletaria nel 1985

 Un titolo altisonante per un convegno organizzato nei mesi dell'arresto degli assassini di Sergio Ramelli al fine di giustificarli. Il volume, a prescindere dalle discutibili finalità con cui è stato concepito è interessante in quanto consente di capire l'atteggiamento che buona parte della cultura degli anni dal '70 al'85 assunse nei confronti del delitto a fini politici. Il libro presenta interventi - tra gli altri - di Mario Capanna, Aldo Aniasi, Ludovico Geymonat, Paolo Hutter, Miriam Mafai, Stefano Rodotà, Edo Ronchi, Rossana Rossanda, Adriano Sofri, Sergio Staino e Carlo Tognoli. Stupisce, in generale, il clima di solidarietà e in certi casi di aperta complicità verso gli autori dell'efferato delitto manifestato negli interventi. Ad esempio Paolo Hutter dichiara con candore: "[...] tendevo in genere a comprendere questi episodi medi di antifascismo militante - l'andare a cercarli, l'andare ad aspettarli sotto cosa, certi processi popolari, ecc.- come una triste necessità", [pag.114-115] mentre Ludovico Geymonat (!!!) si spinge oltre fino a dire "[...] credo che l'importante sia distinguere la violenza giusta da quella ingiusta; e cosa vuol dire quella giusta, vuol dire quella rivolta verso il progresso [...] l'importante è che ci sia qualcuno, adesso, che prende questa fiaccola che avevamo e che è disposto certamente a combattere la violenza, la violenza stupida ma, nello stesso tempo, non rifiuta per principio ogni violenza, ma cerca di orientarla bene, di orientarla per il progresso, di orientarla per lo sviluppo di un'Italia socialista [...] " [pag.63]
Stupisce ancora di più come tutti gli autori adoperino, ancora a 10 anni di distanza dalla morte il termine "fascista" per indicare Sergio Ramelli, il quale non era un estremista di destra ma piuttosto membro di un partito, il "Movimento Sociale Destra-Nazionale" post-1972, nel quale, come è noto, erano entrati anche alcuni antifascisti (addirittura alcuni membri dell'Assemblea Costituente). L'unico intervento in cui emerge una volontà veramente ferma di condannare la violenza è quello del Radicale Pierluigi Melega che con coraggio seppe muovere una saporita provocazione all'assemblea, dichiarando: "[...] allora le cose che diceva Petruccioli non le pensate, voi non pensate che un fascista sia uno che sbagli, pensate che sia uno da ammazzare, no? [...] Io non farò mai niente per impedire ad Almirante di parlare; ho bisogno che parli, perchè lui, quando dice le cose che dice solleva in me e in voi esattamente il senso contrario del fare diverso, perchè non c'è nulla nella mia storia che mi tiene vicino a lui, ma non c'è nulla della mia storia che mi deve impedire di far parlare chiunque. Questa, compagni, è la democrazia [...]". [pag.57]
In effetti per chi legge, oggi, questo volume, l'intervento di Melega è l'unico che consenta di tirare una boccata d'aria.

CDRC Coro drammatico Renato Condoleo
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